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i capolavori del museo

Apollo di Veio

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Nel diffuso anonimato che caratterizza di norma la produzione artistica antica poche sono le personalità che emergono con chiarezza: una è quella del “Maestro dell’Apollo”, artista dal nome ignoto, del quale gli studiosi hanno tuttavia riconosciuto la scuola di appartenenza e le mirabili doti artistiche.

Siamo davanti ad una grande statua in terracotta che conserva l’originale colorazione, evidente nel contrasto tra il colore bruno delle parti nude del corpo e il bianco degli abiti orlati di nero. Infatti, anche se non siamo abituati ad immaginarlo, le opere d’arte antica erano vivacemente colorate.

Si tratta del dio Apollo raffigurato con quel particolare sorriso detto arcaico, che serve ad accentuare l’espressione del viso; cammina deciso verso sinistra: cosa si prepara a fare? vuole forse raggiungere qualcuno? 

Il dio incede a piedi nudi con il braccio sinistro minacciosamente teso in avanti e l’altro abbassato, forse a reggere l’arco: per comprendere il suo atteggiamento bisogna mettere in relazione l’Apollo con la statua che gli è di fronte.

Quest’ultima raffigura Eracle che ha appena catturato la cerva dalle corna d'oro, sacra alla dea Artemide. È questa una delle Dodici fatiche che l’eroe doveva portare a termine come espiazione per aver ucciso moglie e figli in preda a un attacco di follia.
Ecco spiegata la rabbia del dio Apollo che si appresta a lottare con Eracle per liberare la cerva, sacra a sua sorella. 

Vista lateriale del Sarcofago degli Sposi

Accanto ad Apollo ed Eracle dovevano trovar posto, come parte integrante della stessa scena mitologica, anche Artemide, la dea a cui era stata sottratta la cerva, e Mercurio, in veste di pacificatore, la cui testa è esposta nella stessa sala.
 
Queste e altre statue - tra le quali spicca Latona con il piccolo Apollo in braccio - erano destinate a decorare la sommità del tetto (columen) del tempio in località Portonaccio a Veio, dedicato alla dea etrusca Menerva (la greca Atena) e datato alla fine del VI secolo a. C.

La ricchezza e la qualità della decorazione figurata in terracotta di questo tempio costituisce un esempio unico nel mondo antico.

Nel maggio del 1916 la statua dell’Apollo, insieme ai frammenti di altre statue, fu rinvenuta in uno scarico spezzata in più parti ben allineate lungo un terrapieno, come attesta una foto d’epoca, denotando un religioso rispetto da parte di chi aveva deciso di interrarla.
 
Le statue di Portonaccio sono state attribuite al “Maestro dell’Apollo”, un artista di Veio appartenente all’ultima generazione di scultori in argilla (coroplasti) dell’officina del famoso Vulca, indicato dalle fonti come l’autore della celebre statua di Giove commissionata dal primo re etrusco Tarquinio Prisco e dedicata a Roma nel tempio consacrato alla triade Capitolina (580 a.C. ca) sul Campidoglio.
 
Poco dopo la realizzazione delle statue di Portonaccio, sempre per il Capitolium, l’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo, avrebbe chiesto proprio all’officina veiente del “Maestro dell’Apollo” due (?) quadrighe come ornamento del tetto.

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