Nadia Terranova, Quello che so di te, Guanda
Un appunto in rosso, a destra della prima pagina del faldone, dice che Venera è la centotreesima donna internata nel 1928.
Delle altre centodue entrate da Gennaio a Giugno potrei sapere tutto ciò che gli incendi e l'incuria dell'archivio hanno risparmiato - spero che ciascuna di loro abbia generato per sangue, affetti o affiliazione una persona che oggi ne ascolti il richiamo. Spero che le storie del manicomio si moltiplichino e che le internate, le degenti, le confinate, le represse, le isteriche, le esaltate, le ammattite, le nevrotiche, le uterine, le irrisolte invadano il mondo, il nostro mondo assurdo e fintamente stabile rendendolo la loro colonia"... (p.135)
"Sono abituata a pensare a Venera come al mio doppio, un fantasma vivo, un assalto alla mia coscienza. Rispetto a questo è persino secondario che nel mio sangue scorra il suo. Eppure è grazie al nostro filo matrilineare che ho il permesso di aprire la sua cartella clinica, di inverare la sua insistente apparizione". (...)
"Siamo una di fronte all'altra, e resta solo il corpo" (...) (p.138).