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Libri Stregati 2025

Perduto è questo mare

di Elisabetta Rasy

Sala 39, Veio, Statuetta raffigurante Enea e Anchise
ETRU image

 

Elisabetta Rasy, Perduto è questo mare, Rizzoli. 

“Erano passati vent’anni dall’inizio della nostra amicizia, che si era fatta sempre più stretta, cementata dalle telefonate quotidiane, quando Raffaele subì una importante operazione al cuore. Qualche tempo dopo lo sognai. Non so che storia raccontasse quel sogno perché me ne rimase solo un frammento, una fulminea visione in cui io fuggivo portando Raffaele sulle spalle. (...) 

Ma certo l’iconografia evocata da quel sogno era quella di Enea, un lungo viaggio dalle immagini delle ceramiche del Sesto e Quinto secolo avanti Cristo alla mia mente notturna del secondo millennio (...)” (p. 60-61) 

 

Elisabetta Rasy nel suo memoir indaga da un lato il rapporto, interrotto nell’estate del 1963, con il padre e con la città della propria infanzia, e dall’altro la profonda amicizia che l’ha legata per oltre trent’anni allo scrittore Raffaele La Capria.


 

L’autrice e La Capria sono accomunati dall’appartenenza al “regno dei padri perduti”, entrambi si sono infatti lasciati alle spalle la patria, la terra dei padri, non Troia in fiamme, ma una Napoli polverosa e corrotta, come viene rappresentata nel film in bianco e nero di Rosi, sceneggiato da La Capria, Le mani sulla città. Questa visione di Napoli si scontra tuttavia con i ricordi positivi del passato più remoto dell’autrice e di La Capria, in cui dominano sempre la luce e il mare, quel mare perduto cui fa riferimento il titolo. Ricordi che inducono a chiedersi, nelle ultime pagine, cosa sarebbe stato delle loro vite se invece fossero rimasti lì. Una domanda che Enea, guidato dal volere divino di Poseidone, non si sarebbe potuto porre. 

Statuetta votiva in terracotta raffigurante Enea in fuga da Troia con il padre Anchise sulle spalle. Seconda metà del V o prima metà del IV sec. a.C. Veio, deposito votivo di Campetti.

Statuetta votiva in terracotta raffigurante Enea in fuga da Troia con il padre Anchise sulle spalle. Seconda metà del V o prima metà del IV sec. a.C. Veio, deposito votivo di Campetti.

Il mito di Enea che fugge da Troia in fiamme con la sposa Creusa, il figlioletto Ascanio e l’anziano padre Anchise sulle spalle, portando con sé il Palladio e i Penati, reso celebre dal racconto di Virgilio nell’Eneide, ha origini antiche. La fuga di Enea da Troia si trova già infatti nell'Iliade e in altri cicli epici greci. 
 
La statuetta votiva con cui dialoga la citazione raffigura Enea come un guerriero armato con elmo, schinieri e scudo rotondo, che reca sulla spalla sinistra il padre, ricurvo, con la testa appoggiata al cimiero del figlio, mentre ne cinge il collo con le braccia. 
 
Il reperto è stato rinvenuto negli anni ‘30 del secolo scorso nell’area sacra di Campetti (Veio), con oltre seimila terrecotte figurate, alcune delle quali dedicate alla dea Vei. Si tratta di un oggetto prodotto in serie, in terracotta plasmata a stampo mediante l’impiego di una matrice, che con l’uso prolungato nel tempo, come in questo caso, tende a logorarsi e perdere di definizione. La datazione del reperto è controversa: alla seconda metà del V sec. a.C., prima della presa e distruzione di Veio da parte di Roma, oppure, escludendo l’esistenza di un culto di Enea radicato localmente, alla prima metà del IV sec. a.C., dopo la conquista della città etrusca e il suo ingresso nell’orbita romana. 

testo di Valeria de Scarpis di Vianino 


 

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