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Libri Stregati 2025

Di spalle a questo mondo

di Wanda Marasco

Sala 5, Vulci, Modellino di Torre
ETRU image

Wanda Marasco, Di spalle a questo mondo, Neri Pozza

«Architetto, ci ho pensato a lungo, la torre si può fare più alta? Studieremo bene la statica. Guardate qua, ho schizzato anch’io un bozzetto. Vorrei la massima elevazione. Il significato della massima elevazione».
«E ve l’ho detto, non si può fare. I trentacinque metri calcolati sono l’altezza giusta».
…Poi s’era messo a scherzare…

Cipolla sorrideva, lui no. La torre doveva essere la rappresentazione di una levatura morale, non si poteva scherzare sulla questione dei simboli.
«Non ve la prendete, dottore... E convincetevi. Trentacinque metri non sono pochi, la torre da quassù dominerà tutto». (p.159)

Nel deposito votivo scavato negli anni ’50 del secolo scorso presso la Porta Nord dell’antica città etrusca di Vulci sono stati rinvenuti numerosi ex voto offerti dai devoti alla divinità e poi religiosamente accantonati e sepolti.
Notevoli sono le raffigurazioni in terracotta di neonati in fasce e bambini di pochi anni intenti a giocare: supplica o ringraziamento per una nascita felice oppure dedica del nuovo nato a una dea della fertilità e degli inizi, Mater Matuta, Ino, Ilizia.

Ex voto a forma di torre in terracotta, Vulci (Montalto di Castro, VT), Porta Nord, stipe votiva, fine II-I sec. a. C.

Ex voto a forma di torre in terracotta, Vulci (Montalto di Castro, VT), Porta Nord, stipe votiva, fine II-I sec. a. C.

La presenza tra gli ex voto di tre modellini architettonici, plasmati in argilla, attesta che sotto la protezione della divinità erano stati posti anche tre edifici forse realmente esistiti a Vulci nel santuario, cui il deposito apparteneva, oppure costruiti fuori dalla città in luoghi a essa significativamente legati, come il porto della città di Cosa.
Si tratta della rappresentazione di un tempio con il tetto smontabile decorato da frontone, acroteri e antefisse, un lungo portico con sette colonne e una torre quadrata con ampio portale d’ingresso ad arco e piccole finestre in alto, per alcuni studiosi un faro. Tre riduzioni di costruzioni che dovevano caratterizzare il paesaggio in cui erano inserite come elementi fortemente connotati e ben distinguibili, di certo importanti per una comunità, portatori di significati e d’identità. Altrettanto carica di significati nel romanzo "Di spalle a questo mondo" è la torre che il protagonista Ferdinando Palasciano ha voluto costruire sulla collina di Capodimonte, come «un regno» per sé e la moglie, torre da dove ancor oggi è possibile godere di una spettacolare vista sulla città di Napoli.
Sullo sfondo della Napoli del secondo Ottocento, Wanda Marasco ripercorre le vicende di Fernando Palasciano, illustre chirurgo e uomo politico, partendo dal giorno del suo ricovero in manicomio e ricostruendo a ritroso la sua parabola esistenziale.

Nel racconto, accompagnato dal contrappunto delle riflessioni di sua moglie, la contessa Olga Pavlova Vavilova, ritorna continuamente l’immagine della torre, fulcro dell’articolata abitazione posta alla fine della salita del Moiariello, «imitazione di un astro, non una casa qualunque», che il tempo aveva «saldata al suolo come un tronco magnetico e potente».
È l’immagine della torre con Olga che si sporge dalla merlata la mattina del suo internamento, che occupa insistentemente la mente alterata di Palasciano; è guardando dalla torre che Olga si prepara a incontrare per la prima volta il marito in manicomio; è alla torre che sempre Olga confessa di aver rivissuto nella malattia di Ferdinando la follia della madre; è la torre che fa da sfondo alla notizia del ritorno del protagonista a casa; è durante quella prima notte che Ferdinando rievoca l’ideazione della casa, il progetto della torre, «un luogo che spingeva entrambi a fondersi»; è la torre ad annunciare per prima la morte del dottore coprendosi di nebbia e poi lasciando il posto «a un cielo straordinariamente limpido»; e infine sarà «una torre in miniatura» a costituire il monumento funerario di Palasciano, «la rappresentazione dell’uomo e quella della sua dimora, due psicologie espresse nel marmo...». 
Ferdinando è un uomo di nobili ideali e di profondo senso etico, un medico che ha fatto della dedizione e della cura la cifra del suo esistere al punto da contrapporsi a chi gli ordina di non prestare cure ai rivoltosi feriti durante i moti di Messina del 1848 e protestare fino alle dimissioni contro chi ha trasformato i locali insalubri e promiscui di un cadente convento in ospedale. 
L’incontro tra Ferdinando e Olga è l’incontro di due persone ferite: Ferdinando, prima quasi abbandonato, come novello Mosè, in una cesta lungo il fiume Volturno dalla madre per evitargli l’atavica povertà e poi separato dalla famiglia per iniziare gli studi in seminario; Olga, bambina, spinta alla fuga, la corsa fermata da una radice che la condannerà a portare nella zoppìa il segreto di un desiderio inespresso, separarsi per sempre da una madre in preda a deliri e follia.
Sarà proprio la cura della gamba della contessa Vavilova a determinare l’incontro tra i due e a legarrne indissolubilmente i destini di vita e di morte, di cui la torre sarà unica e vera testimone; come dirà Olga, «la torre è un ripasso. Ha conservato la nostra storia».

testo di Antonietta Simonelli

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