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Etru a Casa - Ritorno ai classici

La fuga di Ulisse dall'antro di Polifemo

19 Giugno 2020

di Antonietta Simonelli

L'appuntamento di oggi con Ritorno ai classici narra, attraverso un'opera, uno degli episodi più celebri dell'Odissea: la fuga di Ulisse dall'antro del terribile Polifemo.

Nel 1915 a Todi in località San Raffaele, durante lavori agricoli, fu rinvenuto un sontuoso corredo funebre, costituito da oggetti in bronzo e ceramiche, riconducibile a una deposizione maschile in tomba a fossa (seconda metà del V sec. a. C.).

Ulisse in fuga, interno coppa attica a figure rosse firmata dal ceramista Pamphios e attribuita al pittore di Nikosthenes, necropoli loc. San Raffaele, Todi (PG), 525-475 a.C. (n. inv. 27250).

Ulisse in fuga, interno coppa attica a figure rosse firmata dal ceramista Pamphios e attribuita al pittore di Nikosthenes, necropoli loc. San Raffaele, Todi (PG), 525-475 a.C. (n. inv. 27250).

Tra le 60 kylikes (coppe), recuperate in minuti frammenti e pazientemente restaurate, quella firmata dal ceramista Pamphios è una delle più antiche, un cimelio di famiglia scelto per accompagnare il defunto nel suo ultimo viaggio.

Al centro della coppa all’interno di uno spazio perfettamente circolare troviamo la figura di Ulisse disteso sotto un enorme ariete: l’eroe è nudo e dalla spalla gli pende il fodero della spada, che egli tiene sguainata con la mano destra; è legato con tre giri di corda all’animale, a cui si aggrappa con la sinistra. L’ariete poggia le zampe sulla linea orizzontale dell’esergo, mentre lo sfondo è occupato da una palma, segno tangibile di uno spazio esterno e, dunque, della riacquistata libertà.

Dioniso con satiro su carro e menade (lato A).

Dioniso con satiro su carro e menade (lato A).

E’ la scena culminante di una fuga, quella di Ulisse e dei suoi compagni dall’antro di Polifemo, raccontata da Omero nel IX libro dell’Odissea.

Sopravvissuti in pochi alla furia del ciclope, Ulisse escogita un inganno per uscire dalla trappola in cui sono finiti: servire del vino al terribile ospite, che ne ignora il potere, qualificandosi con un astuto falso nome, “Nessuno”, e accecarlo mentre dorme ormai completamente ubriaco.

Contesa per il tripode di Delfi tra Eracle e Apollo con Iolao su carro e al cospetto di Atena (lato B).

Contesa per il tripode di Delfi tra Eracle e Apollo con Iolao su carro e al cospetto di Atena (lato B).

A quel punto non resta che aspettare, aspettare che alle urla di dolore di Polifemo seguano il desiderio di vendetta e il tentativo di afferrare i nemici, mentre tentano di uscire passando attraverso il varco che egli stesso ha aperto togliendo l’enorme macigno che lo chiudeva.

Ed ecco lo stratagemma: Ulisse lega ciascuno dei compagni sotto tre montoni e riserva a se stesso l’ariete più bello e dal vello più ricco, “fra tutta la greggia il più bello” (Odissea, IX, v. 432; trad. R. Calzecchi Onesti).

E così mentre il ciclope palpa i dorsi del suo gregge, i greci si dileguano fuori dalla grotta.

Dalla maledizione di Polifemo deriverà il viaggio di Ulisse lungo dieci anni e viene da chiedersi quanti, finendo di bere il vino in questa coppa e incontrando con il proprio sguardo quello vigile e attento di Ulisse, siano andati con la mente a quella vicenda esemplare e riprendendo il simposio abbiano cominciato a raccontare agli amici una storia che ancor oggi non conosce l’usura del tempo.
 

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